A giugno scade l’integrazione per le aziende con almeno 5 addetti. Con la crisi ucraina per molte imprese c’è necessità di nuova cassa
Con la fine di giugno termineranno le 26 settimane di assegno ordinario del Fondo di integrazione salariale (Fis) per molte imprese che hanno avuto accesso a questo strumento per la prima volta quest’anno. Si tratta, ad esempio, delle grandi aziende del commercio, del turismo, dei servizi alle quali, con un organico di almeno cinque addetti; la riforma in vigore dal 1° gennaio 2022 ha esteso la possibilità di utilizzare la cassa ordinaria (Fis) per 26 settimane in un biennio mobile.
In generale, la riforma degli ammortizzatori ha ampliato il bacino di accesso al Fis alle imprese che occupano almeno un dipendente, appartenenti a settori, tipologie e classi dimensionali non rientranti nell’ambito di applicazione della Cigo e che non aderiscono ai fondi di solidarietà bilaterali.
Questa novità ha permesso a molte realtà di richiedere l’assegno d’integrazione per situazioni aziendali dovute a eventi transitori, non imputabili all’impresa o ai dipendenti, oppure per situazioni temporanee di mercato. Si ricorda, infatti, che nei primi mesi dell’anno erano ancora vigenti restrizioni alle attività e il nostro Paese, come anche il contesto internazionale, si trovava a fronteggiare una nuova variante del virus Covid-19.
In questa prospettiva, molte aziende hanno avviato percorsi d’integrazione salariale di tipo ordinario nella durata massima prevista dalla disciplina, ovvero 26 settimane, che scadranno proprio nelle prossime settimane. Le imprese, pertanto, avevano individuato nel periodo estivo il sostanziale rientro dall’emergenza epidemiologica e delle restrizioni previste, come accaduto negli anni passati. Il conflitto internazionale, però, ha complicato il contesto di riferimento con una contrazione di consumi in diversi settori, concreti incrementi dei costi generali, della logistica e nel settore energetico.
In questo contesto si pone il problema di come agire, visto che le esigenze di cassa integrazione perdurano. In base all’articolo 4, comma 1, del decreto legislativo 148/2015, per ciascuna unità produttiva il trattamento ordinario e quello straordinario di integrazione salariale non possono superare la durata complessiva di 24 mesi in un quinquennio. E questo limite non ha subito variazioni con l’entrata in vigore della riforma a partire dal 2022. Quindi, significa che lo strumento delle 26 settimane deve essere autorizzato nell’ambito del limite complessivo di 24 mesi nel quinquennio, tenendo conto dello strumento straordinario (Cigs) e ordinario (Fis).
Pertanto, il primo problema da risolvere è comprendere quale sia il periodo residuo disponibile per ogni impresa, tenendo conto del consumo delle 26 settimane di assegno ordinario del Fis, rispetto al plafond di mesi utilizzabili in base all’articolo 4, comma 1. È auspicabile che le autorizzazioni Inps alle 26 settimane abbiano tenuto conto del complessivo limite di legge, evitando così sorprese a posteriori, con obblighi di restituzione da parte delle imprese.
D’altronde le aziende, in assenza di plafond, avrebbero potuto accedere alternativamente a strumenti emergenziali messi a disposizione proprio dalla riforma del 2022 (proroga articolo 22-bis; trattamento straordinario emergenziale articolo 44, comma 11-ter; transizione occupazionale articolo 22-ter). Il secondo problema da valutare è la percorribilità dello strumento d’integrazione salariale straordinario, che ha motivazioni differenti e più stringenti per le imprese e, in molti casi, del tutto inattuabili. Si pensi, ad esempio, all’obbligo di investimento finanziario per accedere alla causale di riorganizzazione aziendale, oppure indicatori economico finanziari di bilancio a carattere involutivo per accedere alla causale di crisi.